In qualche modo l’indomani, il 26, bisogna fare i gesti di sempre: sveglia, lavoro, traffico per strada, quotidianità. Ma non è lo stesso quotidiano di tre giorni prima. Al lavoro non si può lavorare. Nel traffico si colgono sguardi pensosi, sofferenti, ciascuno si interroga, ti interroga, cerca: cosa posso fare io? Cosa possiamo fare noi? Così trascorre la mattina del giorno dopo i funerali.
Possibile che quella folla ferita non abbia modo per continuare – oggi – a dire il suo sdegno, la sua ribellione, il suo odio contro la mafia? Questo dicevamo la mattina dopo tra rabbia e lacrime. Con i colleghi, al lavoro, eravamo immersi nella lettura dei giornali, poi cercavamo di lavorare di più e meglio, poi si stava in attonito silenzio.
E se mettessimo dei lenzuoli con scritte di protesta ai nostri balconi? Se ognuno “esponesse” la propria indignazione?